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Mundus patet- Comunicare con l’altra dimensione

Mundus patet- Comunicare con l’altra dimensione

Da tempi immemori, l’umanità ha intrapreso sforzi per stabilire una comunicazione con il mondo dei morti. Questo desiderio di connettersi con l’aldilà è un’interessante combinazione di curiosità e paura, alimentata dalla naturale tendenza umana a cercare spiegazioni per l’ignoto. Chi abbraccia la convinzione nell’esistenza di una vita dopo la morte, almeno una volta, si sarà inevitabilmente interrogato sulla natura di ciò che esiste oltre quella soglia. Tuttavia, la risposta a questa domanda rimane un mistero e, in alcuni casi, può essere fonte di dibattito e incertezza.

Questi dubbi su ciò che c’è dall’altra parte non affliggono solo l’uomo moderno, ma erano già presenti nel mondo antico. Gli antichi Romani avevano diverse tradizioni legate al culto dei defunti e alla comunicazione con l’aldilà. Una delle più affascinanti è quella del Mundus patet. Questa espressione latina letteralmente significa il mondo è aperto e si riferisce ad un’apertura temporanea tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Lo schiudersi di questo varco rappresentava un momento di potenziale pericolo, poiché consentiva l’accesso al mondo dei vivi agli spiriti dei defunti, che potevano portare con sé eventi negativi o sfortunati.

Il Mundus Patet veniva aperto tre volte all’anno, durante specifiche date nel calendario romano. Queste erano: 24 agosto, 5 ottobre e 8 novembre. Bisogna precisare che si trattava di un varco fisico, che secondo Ovidio si trovava sul Palatino, mentre per Plutarco era collocato nel Comizio del Foro. Secondo alcuni corrispondeva alla fossa scavata da Romolo nel momento in cui ha fondato Roma. Infatti, originariamente, quando venivano fondate nuove città, si ponevano due assi perpendicolari (divenuti a Roma il cardo e il decumano) e al centro si scavava una buca in cui venivano gettate delle offerte.

In ogni caso, sappiamo che il Mundus era una struttura ipogea con una superficie semicircolare, una primitiva cavità scavata nel terreno, inizialmente priva di rivestimento e successivamente lastricata, utilizzata per stabilire una connessione con le divinità del mondo sotterraneo. In questo spazio, venivano fatti sacrifici e offerte, tra cui prodotti della terra e formule incise su tavolette di argilla. Al termine del rituale, la fossa veniva coperta con una pietra chiamata lapis manalis, considerata sacra agli dei Mani (Manes), a cui tali offerte erano dedicate.

I Romani ritenevano che, al fine di guadagnare la benevolenza e il favore dei Manes (le anime degli antenati) , che proteggevano la famiglia e garantivano la prosperità, era necessario consentire loro di fare ritorno sulla terra di tanto in tanto. Durante i giorni in cui i Manes facevano ritorno dal mondo degli spiriti, i vivi dovevano essere particolarmente cauti, poiché la porta che separava il mondo dei vivi da quello dei morti era aperta, e c’era il rischio di essere addirittura trascinati nell’aldilà. In quelle date, ogni atto ufficiale e militare veniva sospeso, le porte dei templi dovevano rimanere chiuse e bisognava evitare qualsiasi attività che non fosse strettamente necessaria. Erano proibiti anche i matrimoni e gli atti sessuali.

Il Mundus Patet era anche chiamato Mundus Cereris, dal nome della dea Cerere, che era legata agli inferi, ma anche ai concetti di vita, fecondità e nutrimento in quanto dea del grano. Il suo legame con l’oltretomba diviene più chiaro se si considera il mito di Persefone che viene rapita dal dio degli inferi Ade. Nel racconto, Demetra (dea greca corrispettiva di Cerere), madre di Persefone, va alla ricerca della figlia perduta fino a raggiungere gli inferi (per saperne di più sul mito di Demetra e Persefone clicca qui). Anticamente, l’atto di mietere il grano veniva considerato come evocativo della morte, in cui l’uomo era la spiga mietuta, così come insegnavano i sacri misteri eleusini. In quest’ottica, possiamo meglio rintracciare il legame tra il grano (nutrimento) e la morte. 

Non sono giunti a noi i dettagli dei rituali legati al Mundus, ma il rito (di probabile provenienza etrusca) poteva servire alla purificazione della città in vista di eventi sacri. Infatti, il termine mundus richiama l’atto del mondare, purificare. Ma ciò che colpisce maggiormente è l’idea di poter aprire fisicamente una porta attraverso cui far comunicare il mondo dei vivi con quello dei morti. Spostando la pesante lapide che chiudeva il passaggio si dava un importante segnale all’altra dimensione: ora possiamo comunicare. Unitamente al messaggio rivolto ai Mani (e più in generale alle anime dei defunti: ora potete passare e venire tra noi. La potenza di questo gesto doveva essere accompagnata da un alto timore e dal desiderio di poter controllare ciò che sfugge alla razionalità. Quando la porta tra i mondi viene spalancata tutto può succedere, i morti possono passeggiare tra i vivi e questi devono stare attenti e rispettare la sacralità dell’evento. Ricordiamo che il termine sacro, derivante dal latino arcaico sakros, si riferisce a tutto ciò che è legato alla divinità ed al relativo culto, oltrepassando la realtà ordinaria percepita ed essendo perciò, sconosciuto, misterioso. Ogni volta che l’essere umano si accosta al sacro sbircia all’interno di un mistero, legato all’essenza della nostra spiritualità, ed è una verità inafferabile, tanto quanto quella all’interno di noi stessi.

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